Fare sport fa bene! A condizione che questo venga praticato correttamente, alla giusta dose e con regolarità. L’attività fisica aerobica tipica della maratona, come è noto, ha degli effetti positivi sul cuore aumentandone la resistenza e riducendo la sensazione di fatica con sviluppo della “fitness aerobica”. Altri effetti positivi si evidenziano sul contenuto di colesterolo nel sangue, sulla pressione arteriosa e sulla glicemia. Ecco quindi che l’attività fisica è di beneficio in chi soffre di colesterolo elevato, di ipertensione e di diabete, spesso riducendo la necessità di ricorrere a farmaci. Anche per la prevenzione dell’osteoporosi in quanto stimolo positivo per il trofismo delle ossa oltre che per il buon funzionamento dell’apparato locomotore: forza, potenza, resistenza, mobilità e coordinazione.
Ad essere maggiormente allenati sono soprattutto i muscoli degli arti inferiori inoltre i tendini rispondono positivamente allo stimolo indotto dall’attività sportiva infatti ricerche hanno mostrato come il carico sia uno stimolo positivo per il complesso muscolo-tendine quando questo funziona bene anche le articolazioni risultano protette durante l’esecuzione dei movimenti ripetitivi tipici della maratona.
L’alimentazione deve essere curata attentamente non solo a ridosso della competizione come spesso accade ma sempre: la dieta deve essere equilibrata con corretto apporto di zuccheri 55-65%, grassi 20-30% e proteine 10-15% (dati del Ministero della Salute) con particolari accorgimenti nei giorni che precedono la maratona per l’integrazione glicidica volti a mantenere livelli elevati di glicogeno muscolare per contrastare la fatica. Anche l’apporto di acqua e sali deve essere controllato soprattutto durante la gara per reintegrare le perdite (da 400ml fino oltre 1,5l ogni ora a seconda della sudorazione individuale).
La maratona presente indubbi vantaggi, come sopra ricordato ma se lo sport non è eseguito in maniera corretta se i fattori ambientali sono sfavorevoli se sussistono condizioni predisponenti in chi lo pratica e se vi sono alcuni fattori di rischio, può causare l’insorgenza di patologie. I carichi ripetitivi, tipici di questa disciplina possono creare stress meccanico ai tessuti che compongono l’apparato locomotore: tendini, osso, muscoli, cartilagine. Le grandi forze d’impatto, attraverso il contatto del piede al suolo, si trasmettono verso l’alto sommandosi nel tempo e sono tollerate fino ad una determinata soglia oltre la quale potrebbe comparire la lesione. Si stima che le forze verticali che agiscono sulle articolazioni degli arti inferiori durante la corsa siano da 4 ad 8 volte maggiori rispetto a quelle riscontrate durante una qualsiasi passeggiata, mentre salgono a circa 50 volte le forze di taglio nelle articolazioni.
Un maratoneta di 70Kg sostiene, in media, forze pari a 2800 tonnellate che sono sopportate dalle articolazioni della caviglia, del ginocchio e dell’anca durante una distanza di circa 42Km coperta dai primatisti in poco più di due ore. Nella corsa si stimano circa 5000 contatti del piede con il terreno ogni ora; questi numeri spiegano come piccolissime alterazioni a carico dell’apparato locomotore o fattori esterni possano amplificarsi e portare all’insorgenza di patologie. I muscoli ed i tendini sono i principali dissipatori di queste forze ma quando arrivati agli ultimi chilometri subentra la fatica questo sistema è reso meno efficace con conseguente aumento degli effetti delle forze. Nel caso coesistano fattori predisponenti, si può manifestare il danno.
Le patologie a carico dell’apparato locomotore riscontrabili in un maratoneta sono tipiche da overuse; arriva dagli Stati Uniti un dato indicativo: dal 37% al 56% dei runners incorre in almeno una lesione durante l’anno. È ormai un dato accettato dalla maggiorparte degli studi quello che indica che più il maratoneta è esperto e meno incorre in infortuni. Per i meno esperti un programma di allenamento progressivo aiuta a prevenirli; è fondamentale evitare bruschi aumenti di carico e di intensità di allenamento. Dopo la soglia dei 64km alla settimana si riscontra un rischio di infortuni più alto. Evitare quindi sforzi inutili e seguire programmi di allenamento finalizzati a produrre quantità elevate di ATP e quindi di energia grazie al metabolismo energetico aerobico, queste le regole fondamentali. Le modalità di allenamento prevedono sessioni che variano di intensità e di distanza: il lunghissimo, le ripetute, il ritmo maratona, il ritmo medio ed altre. Mentre si corre la maggior parte della forza propulsiva è generata dalla caviglia, seguita da ginocchio ed anca mentre è il ginocchio ad assorbire in massima parte gli shock che si generano nel contatto piede-terreno. Se suddividiamo il gesto della corsa in alcune fasi fondamentali, le principali sono l’appoggio, la spinta e l’oscillazione. La maggior parte delle lesioni si verifica durante la fase di appoggio dove si ha la massima attività muscolare eccentrica, ovvero i muscoli sono in contrazione ma contemporaneamente si allungano per frenare la caduta del corpo ed assorbire gli shock legati all’impatto con il terreno. Ecco che alterazioni dell’appoggio del piede possono predisporre a patologie; anche minime alterazioni dell’asse di carico e quindi della biomeccanica delle articolazioni possono diventare sintomatiche durante la corsa: nella sindrome pronatoria meglio nota come “piede piatto” si verifica uno stress maggiore a livello delle strutture del versante interno del piede e della caviglia mentre nel piede cavo il sovraccarico è maggiore all’esterno. Bisogna considerare l’apparato locomotore nella sua globalità poiché alterazioni a carico di un distretto possono determinare sovraccarico e quindi patologia in altre sedi.
È importante prepararsi per correre una maratona seguendo delle specifiche tabelle di allenamento; queste differiscono in base all’obiettivo che si prefigge ovvero al tempo che si stima necessario per portare a termine la gara: meno di 4 ore, meno di 3 ore e mezzo o meno di tre ore. Sono molto dettagliate ed indicano le diverse modalità di allenamento da seguire giorno per giorno nei tre mesi che precedono la maratona: corsa lenta, corsa media, corsa lunga svelta, lungo lento, ripetute, interval training, allunghi.
Circa il 70% di tutte le patologie da sovraccarico si riscontrano nella corsa e possono essere causate da fattori intrinseci, legati cioè a caratteristiche soggettive e soprattutto estrinseci, ovvero esterni al corpo ad esempio: le calzature, i terreni e gli errori di allenamento. Le calzature possono influire sul tipo e sulla frequenza delle lesioni; se le scarpe sono state utilizzate per oltre 400km la capacità di assorbire gli shock si riduce del 30%-50%. Una scarpa di buona qualità deve essere adeguata per le caratteristiche biomeccaniche del piede, della caviglia e dell’arto inferiore durante la corsa. Non tutte le scarpe sono adatte per la maratona e non si può improvvisare utilizzando calzature che non sono state progettate per il running onde incorrere in fastidiosi dolori o peggio patologie più serie. Numerose sono le calzature disponibili ed è importante la scelta in base al livello agonistico del maratoneta e al tipo di appoggio del piede: dalle superleggere molto flessibili e reattive ma con potere ammortizzante limitato consigliate per atleti di alto livello a quelle con massimo ammortizzamento utilizzabili con plantari personalizzati. I terreni asfaltati aumentano il carico meccanico a livello delle articolazioni, dei muscoli e dei tendini; i percorsi in discesa possono portare a sovraccarico del ginocchio, quelli in salita predispongono a tendinopatia Achillea e fascite plantare. Elevata importanza va attribuita all’errore nell’allenamento: eccessiva quantità, elevata intensità e recupero inadeguato possono determinare lesioni così come nel caso opposto ovvero scarsa preparazione fisica specifica.
Le scarpe da corsa hanno due funzioni fondamentali: assorbimento degli shock derivanti dal contatto con il terreno e controllo del movimento. Le numerose ricerche effettuate per venire incontro alle esigenze della maratona, basate sulla conoscenza dell’anatomia del piede e della biomeccanica della corsa, hanno portato allo sviluppo di materiali sempre più avanzati e di scarpe che si adattano alle caratteristiche del piede ed al meccanismo di contatto con il terreno durante la corsa. Ecco quindi che le lesioni da durata possono essere determinate dall’utilizzo di una scarpa non adeguata per la maratona mentre al contrario una scarpa appositamente studiata può prevenire gli infortuni da overuse.
I principali fattori di rischio legati al soggetto sono: alterazioni dell’appoggio del piede, diversa lunghezza e alterato allineamento degli arti inferiori, squilibri muscolari, ridotta flessibilità e fatica muscolare come sopra ricordato. La sede più colpita dal sovraccarico è il ginocchio e le patologie più frequenti nel maratoneta sono il dolore anteriore, la sindrome della bandelletta ileotibiale, la borsite della zampa d’oca e il dolore tibiale da stress. Altre patologie cui può andare incontro chi pratica la maratona sono sindromi compartimentali di gamba, tendinopatie dell’Achilleo e del tibiale posteriore, fratture da stress, fascite plantare e lombalgia. Il numero degli sportivi che si avvicinano alla maratona è in continua crescita si attende perciò un aumento del numero degli infortuni, per questo è fondamentale che la ricerca proceda continuamente partendo dalla fisiologia e dalla biomeccanica. La valutazione del maratoneta deve essere accurata e comprensiva dello studio in fase dinamica mentre avviene il movimento ed i programmi preventivi devono prevedere particolare attenzione sia alla forza ed alla coordinazione sia alla flessibilità muscolare. La ricerca dovrebbe anche indirizzare la riabilitazione verso un’impronta funzionale così come le strategie di condizionamento e di allenamento.