Recenti strategie efficaci nel promuovere il recupero funzionale
Brescia, 22-24 settembre 2011
Le peculiari caratteristiche di questo interessante evento scientifico – promosso con grande cura dalla Dr.ssa Caterina Sottini, Direttore dell’U.O. Di Riabilitazione Specialistica dell’Azienda Ospedaliera “Spedali Civili di Brescia” – si possono riassumere in tre significativi aspetti.
Il primo è quello di aver voluto coniugare l’aggiornamento del sapere (attraverso interessanti relazioni) con l’apprendimento del saper fare (attraverso una serie di dimostrazioni pratiche sull’utilizzo di nuove ed interessanti metodiche destinate alla riabilitazione di particolari forme di disabilità).
Il secondo è quello di aver voluto abbinare all’approccio di taglio squisitamente fisiatrico anche quello di taglio neurofisiopatologico, con l’intento di offrire un quadro sicuramente più esaustivo alla visione complessiva della neurolesione disabilitante.
Il terzo, ma non certo meno importante, è quello di aver insistito – lungo tutto il percorso congressuale – nella ricerca di nuove chiavi di lettura delle “novità”, insistendo molto sull’esigenza di soppesare le nuove metodiche e le nuove tecnologie con strumenti oggettivi di validazione atti a certificarne l’efficacia e l’efficienza.
Il Convegno si è aperto proprio su questo ultimo scenario, con una sessione esclusivamente dedicata al capitolo dell’Healt Technology Assessment in Rehabilitation, nel corso della quale sono stati affrontati gli aspetti relativi alla documentata efficacia di nuovi interventi terapeutici in riabilitazione, dalle cure farmacologiche sino alle più recenti proposte di impiego della robotica. Senza trascurare, per quanto possa apparire lontano dalla vita professionale di un fisiatra, le valutazioni sugli aspetti economici di alcuni processi assistenziali che, ormai, stanno rientrando a pieno titolo nell’ambito delle competenze richieste ai dirigenti sanitari che operano all’interno di aziende ospedaliere o nelle ASL.
Alcune metodiche di acquisizione relativamente recente (quali ad esempio la “Constraint-induced movement therapy”, lo “Speed-intensive gait training”, il “Motor Relearning Programme”, le tecniche basate sulla “Motor Imagery” e così via sono state sottoposte ad un procedimento revisionale critico non soltanto per validare l’efficacia della metodica ma anche per saggiarne l’efficienza, dal momento che l’assieme dei risultati raggiunti entra nell’ambito di una complessa analisi ponderata in cui numerosi sono gli aspetti da prendere in considerazione e, non ultimo, anche quello della produttività e dell’efficienza.
Molto interessante, al riguardo, la lecture del prof. L. Tesio che si è chiesto se non appaia più opportuno, al posto della misura dell’outcome medio, provvedere alla conta dei pazienti migliorati, magari rivedendo le regole del gioco statistico.
Questo interrogativo, in Riabilitazione, appare sempre più pressante dal momento che in nessuna specialità medica incide in maniera così consistente il peso da attribuire al risultato sulla persona anziché quello relativo al risultato mediamente significativo (quello, cioè, che sta in cima alla campana di Gauss).
“Se uno potesse chiedere ad un pinguino e ad una lucertola se a 35° è caldo o freddo, la risposta sarebbe sicuramente diversa!” a testimonianza del fatto che l’esperienza di benessere (o di miglioramento dopo cure riabilitative) è del tutto soggettiva e sicuramente più legata al giudizio della singola persona che non a quello risultante dai pareri mediamente “pesati” nell’ambito di una più o meno vasta popolazione.
Del resto, ci faceva scherzosamente notare il Prof. M. Piccirilli (nella sua interessantissima relazione dedicata alla fMRI e al suo contributo nella valutazione dell’intervento riabilitativo), bisogna diffidare dello statistico, che si può raffigurare come uno che tenendo la testa in un forno ed i piedi in un frigorifero ti dice che, mediamente, si sente bene! O sono quelli che, come ricordava G.B. Show, vanno in tre a caccia di una lepre: uno spara un metro a destra, un altro spara un metro a sinistra ed il terzo esulta: “l’abbiamo presa!”.
Molto ricca la rassegna di relazioni dedicate al recupero funzionale dell’emiplegico, sia nella parte introduttiva – ove sono state analizzati i meccanismi neurobiologici dell’adattamento neurale (M. Zampolini) e gli aspetti della plasticità e della riorganizzazione cerebrale dopo evento ictale (S. Paolucci) – sia nella parte più segnatamente dedicata all’esposizione e all’analisi critica delle moderne metodiche riabilitative (J.C. Baron e N. Sharma, V. Sirtori, G. Checchia, V. Bosi e G. Galardi).
Ampio spazio è stato dedicato al possibile supporto fornito dalle tecnologie più moderne nel recupero del paziente che ha patito un evento ictale, come nel caso delle risorse ottenibili dalla robotica, dalla Virtual Reality, dalla Transcranial Direct Current Stimulation (M. Di Gesù, N. Smania, L.F. Lucca e M. Saccavini).
Egualmente ricche di stimoli le relazioni dedicate al monitoraggio neurofisiologico nella pratica riabilitativa attraverso le possibilità diagnostiche offerte dall’indagine elettromiografica e dalla elettroneurografia (M. Vecchio, A. Pelliccioli, M. Cioni, G. Deinite) e le relazioni dedicate alle sindromi spastico-distoniche con le possibilità offerte dal trattamento con tossina botulinica (D. Bonaiuti, R. Bernardini, U. Dimanico, C. Lentino).
Non è mancata una sessione giustamente dedicata alla terapia del dolore nelle neurolesioni ove sono intervenuti con relazioni molto apprezzate oltre al già citato L. Tesio, L. Idolazzi, R. Casale, C. Cerri e C. Foti.
Assolutamente degni di nota altri due interessanti corsi paralleli che hanno arricchito questo Convegno: il primo dedicato alla cartilagine nella patologia osteoarticolare degenerativa ed il secondo dedicato alla disfagia. In quest’ultimo campo ha raccolto vivo successo il Corso abilitante all’elettroterapia di stimolazione nelle turbe della deglutizione tramite un nuovo apparecchio, il Vitalstim. Un corso parallelo che ha visto la partecipazione di quasi cento iscritti che hanno seguito con enorme interesse le possibilità offerte da questa nuova metodica.
Prof. Alberto Freddi
Album del Congresso
cong brescia 2011 |
Intervista alla dott.ssa Caterina Sottini
Associandomi ai numerosi complimenti sopraggiunti dopo l’avvenuto convegno, e previa autorizzazione della dott.ssa Sottini, lascio il documento da me preparato per gli atti del congresso relativo alla mia relazione, sperando vi fornisca elementi utili nella pratica clinica quotidiana.
Un saluto
LE RADICOLOPATIE: CONCETTI CORRENTI
Augusto Fusco, MD
Laboratorio Clinico di Neuroriabilitazione Sperimentale
Fondazione Santa Lucia, I.R.C.C.S., Roma
INTRODUZIONE
Nel mondo, circa 2/3 degli adulti soffrono di cervicalgia e lombalgia1. I dolori ad origine assiale sono spesso accompagnati da radicolopatia. Questa è definita come una disfunzione delle radici dei nervi spinali; si manifesta con dolore, parestesie, deficit motorio, alterazione dei riflessi tendinei profondi, ed, in alcuni casi, deficit di funzioni viscerali.
I primi ad introdurre il concetto di radicolopatia legandola all’erniazione del materiale dal disco intervertebrale furono Mixer e Barr nel 19342. Da allora, una notevole quantità di studi è stata prodotta per ciò che concerne patogenesi, diagnosi, clinica e terapia.
Da un punto di vista epidemiologico, le radicolopatie possono essere considerate entità nosologiche endemiche con una prevalenza stimata di 9.8 pazienti a livello lombosacrale e 3,5 pazienti a livello cervicale ogni 100 adulti. I picchi di età di presentazione clinica è tra la fine della terza decade e la quinta, mentre per la radicolopatia cervicale è nella sesta decade3.
Le radicolopatie sono nella maggior parte dei casi da imputare ad una compressione o irritazione delle radici spinali. Si dividono globalmente in cause di tipo meccanico, come nell’ernia discale e sue declinazioni, osteofitosi da spondiloartrosi o ispessimento dei legamenti canale spinale. Cause meccaniche meno frequenti sono i tumori spinali o infezioni, che riducono lo spazio intra-canale vertebrale. Infine anche la scoliosi, per via delle anomale curvature, può essere causa meccanica di radicolopatia. La radicolopatia può altresì essere dovuta a cause di tipo irritativo, come per diabete, trauma e degenerazioni di tipo infiammatorio.
Fattori predisponenti variano a seconda dell’area presa in considerazione e del fattore studiato. Non vi è accordo in letteratura su un’influenza di genere, anche se alcuni studi suggeriscono una maggiore incidenza negli uomini. Una storia di lombalgia è un fattore certo associato alla radicolopatia lombosacrale così come quest’ultima si è vista associata alla radicolopatia cervicale. Nel 15% dei casi di radicolopatia cervicale è presente una storia di trauma locale (per lo più legata al colpo di frusta). Un’influenza positiva sembra averla la familiarità. Al contrario, non sembra avere un’influenza il sovrappeso e l’obesità, maggiormente correlata a dolori locali (lombalgia) piuttosto che ad un evoluzione radicolare. Fattori occupazionali sono correlati a lavori di tipo manuale, con sovraccarichi sul rachide, come lunghi periodi di guida di un automezzo o che richiedono posizioni in flessione lombare4. Per ciò che concerne la radicolopatia ad origine lombare, il 90% dei pazienti risolvono la propria sintomatologia radicolare lombosciatalgica nell’arco di 6 mesi, anche se, a 4 e a 10 anni, la soluzione dei sintomi avviene nel 60% dei casi e la ricorrenza patologica nel 20%5. Anche per la radicolopatia cervicale, il 70-90 % dei casi riduce o risolve la sintomatologia dopo trattamenti conservativi, seppur nel 12,5% permangono gli stessi sintomi al termine della terapia6. La conoscenza della prognosi favorevole e della storia naturale di queste entità nosologiche è cruciale per il comportamento appropriato da tenere da parte del professionista sanitario.
DIAGNOSI
L’anamnesi e l’esame obiettivo è il fondamento per approcciare ad una corretta diagnosi e trattamento. Nella diagnosi di radicolopatia, è molto utile la conoscenza e la comprensione dell’anatomia di innervazione di un determinato dermatomero e miomero da parte dei nervi spinali. La rigida definizione di questi ultimi, però, non è sempre così scontata, essendo gravata da notevoli variabilità inter-individuali limiti sperimentali, sovrapposizion di mapping, diversificazioni dei campi recettivi per lo stesso nervo spinale nelle differenti modalità sensoriali o di innervazione muscolare. Cosicchè non vi è unanimità scientifica su queste definizioni, sebbene i concetti di dermatomeri e miomeri di inizio Novecento siano ancora oggi quelli di più largo consumo7. Al tempo stesso sembra maggiormente appropriato parlare di innervazione poliradicolare, anche se rimane valido il concetto classico di dermatomero e miomero nella valutazione clinica di una sospetta radicolopatia.
La clinica deve essere strettamente collegata alla diagnostica elettrofisiologica e strumentale. E’possibile, infatti, che un’alta percentuale venga misconosciuta all’esame obiettivo (falsi negativi)8. La negatività alla diagnosi non sempre va classificata come incuria professionale, ma vi possono essere motivazioni legate alle sovrapposizioni naturali delle mappe dermatomeriche, così come una rimodulazione delle stesse a seguito di lesione di singolo nervo spinale che conduce innervazioni adiacenti a surrogare le informazioni vacanti. La mancanza di ipostenia segmentaria in presenza di radicolopatia è spesso legata al fatto che alcune fibre muscolari dello stesso muscolo sono innervate da nervi spinali adiacenti. Inoltre, l’innervazione muscolare è mantenuta attraverso un gran numero di assoni dello stesso nervo: è quindi che la funzione di alcuni assoni permanga anche in presenza di lesione9.
I test evocativi per la diagnosi radicolopatia sono diversi, ben accettati e standardizzati in letteratura10,11. Nel distretto cervicale vanno segnalati: lo Spurling Test, di bassa-moderata sensibilità ed alta specificità; il test di Abduzione della Spalla (o Segno di Bakody), con buona specificità e bassa sensibilità; il test di Tensione del Plesso Brachiale (o test di Elvey), con bassa specificità ed alta sensibilità; il test di Distrazione Manuale, dall’alta specificità e bassa sensibilità; infine, maggiormente discussi, il segno di Lhermitte, il segno di Hoffmann e la manovra di Roger-Bikelas-De Seze. Per ciò che concerne la radicolopatia lombare, i segni e i test evocativi più riconosciuti sono: il segno di Lasegue, in grado di avere un’alta correlazione con i ritrovamenti all’operazione di ernia discale, alta sensibilità e specificità variabile; il segno di Lasegue-Moutad-Martin (o Lasegue inverso o incrociato), il quale si è dimostrato molto più specifico del segno di Lasegue classico, con un alto valore predittivo; il segno della corda dell’arco (Bowstring sign); lo slump test o test della caduta, con maggiore sensibilità, che specificità rispetto al Lasegue classico; il test di stiramento del muscolo retto femorale o test di Wassermann; il segno di Braggard o test della dorsi-flessione di caviglia; i segni di Waddell, per il suggerimento della presenza di una patologia non-organica. Test e segni menzionati, la cui evidenza nella diagnosi di radicolopatia lombare è ancora discussa, sono: lo slump test, il segno di Kemp e il segno di Hoover.
Tutti i pazienti che presentano una storia ed un esame obiettivo indicativi di radicolopatia devono essere sottoposti ad un iter diagnostico, la cui profondità è dipendente dal sospetto eziologico12. L’avvento della tomografia computerizzata (TC) e della risonanza magnetica (RM) nell’imaging diagnostico ha portato un notevole miglioramento nella diagnosi, rendendo possibile anche la opportunità di seguirne il decorso naturale e compararne i cambiamenti morfologici. L’iter deve, però, iniziare con un radiografia standard del tratto interessato, in due proiezioni, anteroposteriore e laterale. Questa tecnica può mettere ben in evidenza (anche se con meno specificità di altre tecniche di imaging) diagnosi di: spondilo-artrosi, tumori, infezioni, osteolisi o osteolistesi (che può richiedere eventualmente un’ulteriore proiezione obliqua), fratture, artropatie infiammatorie. Il più grande limite di questa tecnica è legato alla mancata capacità di analisi dei tessuti molli. così come l’incapacità di analizzare le piccoli osteofitosi o anche a discernere quadri che sono sostanzialmente simili di soggetti sani. Proprio a causa di tali limitazioni, la RM è divenuta l’indagine diagnostica di più largo uso e consumo per l’alta sensibilità nello studio del disco intervertebrale e nei tessuti molli, e, specie se confrontata con la TC, per la mancanza di erogazione di radiazioni ionizzanti, dimostrandone l’alta capacità predittiva di severità e valutazione prognostica di recupero13, anche molte linee guida sottolineano come il suo uso sia eccessivo, e ne incoraggiano l’uso nella progressione dei sintomi neurologici. La TC, per l’alta capacità di definizione dell’osso corticale, migliore rispetto alla RM, è mandatoria nei casi di frattura, tanto più se comminuta, o nei casi di studio dei tessuti molli in cui la RM non è applicabile (pacemaker, metalli, vecchi impianti protesici, ecc.). RM e TC hanno mostrato sensibilità e specificità comparabili (88-94% di sensibilità; 57-64% di specificità), anche nella capacità di diagnosi di disco erniato14. Metodi diagnostici di minore riscontro e limitati solo a determinate casi sono: il blocco selettivo dei nervi spinali in fluoroscopia e la scintigrafia ossea, nel reperimento dei tumori ossei del rachide e/o eventuali metastasi.
L’impegno patologico dei nervi spinali e l’eventuale grado di lesione è più accuratamente diagnostica da esami elettrodiagnostici (Elettromiografia, Elettroneurografia, Potenziali Evocati), permettendo una valutazione funzionale delle vie dei nervi spinali, promuovendo anche ad informazioni di tipo prognostico relativamente agli outcome funzionali.
Le terapie proposte sono moltissime. Riabilitazione, secondo varie declinazioni, farmacologia e terapia chirurgica si intersecano per la risoluzione dello stesso problema. Sebbene ogni paziente debba essere gestito individualmente, la prognosi favorevole e il positivo decorso naturale depone per un approccio conservativo per le radicolopatie lombari e cervicali per la maggior parte dei pazienti.
TERAPIA
Per via del fatto che la maggior parte delle diagnosi rimangono non specificate, le decisioni relativamente al corretto approccio terapeutico sono ancora discusse. Alla luce di tali considerazioni, si può ragionevolmente sintetizzare come la chirurgia dia un beneficio nel breve periodo, specialmente per ciò che concerne il dolore, ma per mantenerli vi è necessità di lunghi cicli di riabilitazione. Tale discorso ancor più è valido per il recupero della propria attività funzionale, anche se l’intervento riabilitativo richiede molto più tempo. Tra i protocolli riabilitativi, il sistema McKenzie ha trovato ampio uso sia per gli elementi di diagnosi che per quelli di terapia15, con capacità di provvedere ad informazioni sulle caratteristiche del dolore e la preferenza direzionale del rachide, basandosi su concetti di modello di disco dinamico, che può portare ad avere informazioni anche riguardo alla diagnosi relativamente alla protrusione del disco intervertebrale. Riabilitazioni basate sul su concetti bio-psico-sociali o meccanici di correzione del deficit (Back School, Ginnastica posturale, Rieducazione Motoria di rafforzamento della muscolatura, correzione dei deficit di articolarità, progressivo ritorno alla piena funzionalità del rachide, ecc.) stanno acquisendo nel tempo maggiore popolarità, specie per la capacità di avere benefici effetti funzionali e nel controllo del dolore specie nel breve e medio periodo, a seguito del ripristino dei corretti concetti di postura del rachide16. Altri presidi riabilitativi, utilizzati specie per il controllo del dolore, sono manipolazioni e mobilizzazioni spinali, da effettuarsi con maggiore cautela per il distretto cervicale17.
La farmacologia si basa specialmente sul controllo del dolore, quale risposta ad un miglioramento anche di funzione18,19. La terapia dipende dalla cronicizzazione e dalla severità dei sintomi, e dalle caratteristiche del dolore. Al tempo stesso, si deve sempre tener conto del profilo tossicologico e delle proprietà di interazione con le altre terapie proprie del soggetto, il quale è spesso soggetto a diverse comorbidità specie per ciò che concerne i soggetti più anziani. I FANS (selettivi e non-selettivi) sono efficaci nella fase acuta delle radicolopatie e come trattamento di prima linea nel breve periodo; non sono consigliati per un uso cronico a causa dell’alto rischio di complicanze (gastrotossicità, maggiore per i FANS non-selettivi; cardiotossicità, maggiore nei selettivi). I miorilassanti possono essere utili come co-adiuvanti, non in terapia unica. Gli oppiodi sembrano essere particolarmente utili nel dolore neuropatico, anche se di difficile gestione in ambiente ambulatoriale per l’alto numero di effetti collaterali (nausea, vomito, sonnolenza, costipazione, effetti istaminergici, ecc.). Una bassa dose di steroidi per via orale sembra essere efficace nel breve periodo con un basso profilo di tossicità; più efficaci sembrano essere, invece, iniezioni epidurali di steroidi, anche se non vanno considerati come trattamenti di prima linea e particolare attenzione va rivolta alla procedura. Molto utili sembrano essere i neuromodulatori (SSRI,SNRI, TCA), i quali possono aggiungere a proprietà analgesiche per dolori di origine centrali, anche effetti sul piano psicologico. I trattamenti topici dovrebbero essere considerati come coadiuvanti a terapie orali, anche se non è ben riconosciuto il loro profilo di tossicità, in aggiunta.
La chirurgia20, nelle sue diverse declinazioni (foraminotomia anteriore o posteriore, discectomia a cielo aperto, microendoscopia, ecc.), dovrebbe essere considerata in presenza di grave progressione della sintomatologia neurologica o dolore significativo che non risponde ad alcun trattamento di tipo conservativo. Gli outcomes sembrano essere efficaci specie nel breve periodo, e soprattutto per la radicolopatia ad origine lombare; meno efficaci, o comunque ancora dibattuta, sembrano essere il mantenimento dei risultati nel lungo periodo. Ancora poco valutata l’opera delle ultime procedure di radiologia interventistica.
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