Cercando qualcosa di nuovo in Letteratura in merito alla riabilitazione dei pazienti sottoposti a protesi di ginocchio (Total Knee Arthroplasty, TKA), ho trovato un articolo recente (M.J. Bade and J.E.Stevens-Lapsley, Restoration of physical function in patients following total knee arthroplasty: an update on rehabilitation practices.Curr Opin Rheumatol, 2012 24:208-214) dal titolo invitante. Come sempre ho sperato di trovarvi delle risposte chiare ai tanti quesiti che nascono dalla pratica clinica.
Viene, in sintesi, ribadita la notevole perdita di forza al quadricipite nell’immediato periodo post-operatorio, e la peggior situazione in cui si trovano i pazienti con gonartrosi di vecchia data i quali arrivano all’intervento dopo anni di gonalgia, di limitazione funzionale antalgica, di compensi funzionali e in definitiva di disabilità emergente. Le scadenti condizioni locali e funzionali in generale con cui molti pazienti si presentano al tavolo operatorio, rappresentano un fattore prognostico negativo in termini di miglioramento funzionale post-operatorio, pregiudicando, in definitiva, la completa riuscita dell’intervento stesso.
Come emerge da un interessante articolo di Bade et al, 2010, coloro che soffrono di artrosi da lungo periodo presentano nel pre-operatorio una riduzione della forza del quadricipite del 36%, rallentamento del 160% al Stair Climbing test (SCT) e una riduzione del 31% della distanza percorsa nel 6-min walk test (6MW) rispetto coetanei considerati sani. Nel primo mese post-operatorio questi valori sono destinati a peggiorare rispetto il pre-operatorio con una perdita di forza al quadricipite fino al 60%, riduzione delle performances al SCT del 90% e al 6 MW del 40%. Inoltre 6 mesi dopo l’intervento chirurgico permane una significativa perdita di forza e un deficit funzionale rispetto i coetanei sani. Una meta-analisi del 2004 ha sottolineato come soggetti sottoposti a protesi di ginocchio rispetto la popolazione coetanea sana, hanno una perdita del 40% della forza al quadricipite, un allungamento del 110% tempo necessario al SCT e una riduzione del 30% della distanza percorsa al 6MW. Tali deficit predispongono ad una progressiva disabilità nel corso degli anni così come ad un aumentato rischio di cadute e perdita dell’indipendenza funzionale. Una dichiarazione di consenso del National Institutes of Health del 2003 concludeva tristemente che nella gestione dei pazienti sottoposti a TKA non vi erano evidenze a supporto dell’uso generalizzato di un trattamento specifico pre e post-operatorio. Una meta-analisi del 2007 affermava che il trattamento riabilitativo in questo ambito, secondo le evidenze disponibili in quel momento, non apportava benefici funzionali a lungo termine.
Dopo queste frustranti conclusioni, il panorama letterario più recente propone degli articoli in grado di risollevare le sorti di questo ambito della riabilitazione, soprattutto viene spezzata una lancia in favore di una terapia fisica molto discussa: la stimolazione elettrica neuromuscolare (NMES). Stevens-Lapsley et al (article in press), ha dimostrato attraverso un RCT, come un trattamento intensivo (30 minuti al giorno per 6 settimane) iniziato in seconda giornata post-operatoria sia in grado di migliorare gli outcomes funzionali sia a breve e che lungo termine. I migliori risultati si ottengono inoltre in coloro i quali riescano ad utilizzare delle stimolazioni ad elevata intensità. Vale la pena ricordare che una revisione Cochrane del 2010 in proposito definiva non chiare le evidenze esistenti allora in Letteratura.
Accanto all’uso dell’NMES, Bade et al, 2011 propone l’utilizzo di un intervento riabilitativo progressivo e intensivo iniziato subito dopo la dimissione dall’ ospedale. Si tratta di uno studio prospettico che prende in considerazione un programma riabilitativo complesso articolato in 4 fasi successive, attraverso esercizi a progressiva intensità ( coinvolgenti non solo il muscolo quadricipite ma tutti i principali gruppi muscolari dell’arto inferiore con particolare attenzione per i muscoli flessori del ginocchio e flessori plantari) combinati con esercizi di equilibrio , agilità , endurance. Al follow-up a 6-12 e 52 settimane i pazienti del gruppo di intervento hanno mostrato risultati migliori al SCT e 6 MW test, rispetto al gruppo di controllo che aveva eseguito un programma classico. Gli autori non hanno riportato effetti avversi nell’utilizzo precoce delle NMES e neanche a seguito del programma chinesiterapico intensivo.
Altri due recenti articoli citati nell’update di Bade et al del 2012 hanno focalizzato l’attenzione sull’intervento successivo alla fase post-acuta osservando come, per pazienti che non abbiano raggiunto al termine di un classico percorso riabilitativo dei risultati funzionali soddisfacenti, l’utilizzo di esercizi in ambiente acquatico (Valtonene et al, 2010) e l’esercizio eccentrico anche a distanza di un considerevole periodo, da 1 a 4 anni dopo TKA, (LaStayo et al, 2009) possano apportare dei benefici aggiuntivi.
Torno alla pratica clinica arricchita delle osservazioni e dei risultati ottenuti dagli studi citati, sperando che questi abbiano una ricaduta sul piano pratico in termini di acquisizione di un percorso riabilitativo specifico per pazienti sottoposti a TKA che tenga presente la necessità di un’ adeguata preparazione fisica pre-operatoria e di un trattamento post-operatorio intensivo, immediato, mirato alla funzionalità generale del paziente e che non disdegni l’utilizzo, purché evidence-based, delle terapie fisiche. Non è tanto importante che i pazienti camminino o facciano le scale, quanto la qualità biomeccanica, la resistenza, il costo metabolico e non in ultimo la sicurezza del cammino. Un altra riflessione ( per la verità banale ma quanto mai difficile all’atto pratico) che nasce dalla lettura di questo update è che, se l’ortopedico permette ad un paziente con gonartrosi sintomatica di ridurre il dolore dopo l’intervento, regalandogli una “nuova articolazione”, al fisiatra spetta di ridurre la disabilità. Gli articoli sopracitati ci fanno osservare con dati chiari, come spesso l’ortopedico riesca nel suo intento mentre il fisiatra trovi più difficoltà. Credo che in questo ambito della riabilitazione ortopedica come non mai, sia importante la sinergia tra le figure del chirurgo ortopedico, del fisiatra e del fisioterapista, con l’unico intento di migliorare la qualità della vita del paziente.
Claudia Fusco
Ho letto questo articolo con molta attenzione ma con poca cognizione di causa perchè non lavoro in ambito medico, ma vorrei comunque esprimere la mia opinione in merito agli interventi di protesi di ginocchio. Un parente molto stretto si è sottoposto ad intervento di protesi di recente e non è rimasto troppo soddisfatto dei risultati di questo intervento. Per i primi mesi ha fatto una fisioterapia secondo noi “classica” come la si è definita sopra. In seguito, dopo lunghi consulti, è capitato fra le mani del dott. Palmas Gianluca, un fisioterapista di esperienza in questo campo, che ci è stato raccomandato da un amico. Con un approccio meno “classico” ma più mirato è riuscito a risollevare la situazione, con grande stupore dei parenti più stretti e del paziente ancor di più. Credo quindi che la parte riabilitativa sia la più importante nei postumi di intervento di protesi di ginocchio.
Irene.
Sto per essere operata di protesi del ginocchio; ho 53 anni e fino a 10 annni fa ero in ottima forma fisica; una gonartrosi mi ha portato ad una disabilità. Ho letto il suo articolo con molto interesse e sinceramente pensavo di concentrarmi molto sulla riabilitazione postoperatoria mirata al recupero del tonicità muscolare tentando terapie “dolci” saro lieta di aggiornervi dei risultati che “spero” di raggiungere. Grazie infinite