Non so quanti di voi guardano in TV le Paralimpiadi che si stanno disputando a Londra … Io lo faccio ogni sera fino a tardi e mi vengono spontanee alcune considerazioni: l’affluenza e la partecipazione del pubblico è oltre ogni previsione,le gare son perlopiu’ interessanti ed avvincenti, i risultati tecnici sono ottimi in senso assoluto,con piacere ho appreso che sono stati riammessi ai giochi gli atleti affetti da disabilità psichica. Alla premiazione come in qualsiasi altro momento si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di assolutamente normale.Il tutto grazie anche alle nuove tecnologie per la costruzione di ausili tecnici e facilitanti la performance che portano la persona disabile ad una maggiore duttilità verso lo sport, ma che,sacrosantamente,dovrebbero essere maggiormente usati anche nella vita di tutti i giorni per creare comunque e per tutti una maggiore duttilità verso la partecipazione.Qualcuno ha dichiarato che la visione delle Paralimpiadi provoca “compassione e pena” , a me provoca gioia professionale ed umana ed interesse sportivo …L’Italia è 18 nella graduatoria delle medaglie (nei giochi olimpici recenti fu 7 o 8) e questo mi porta ad altre valutazioni ovvero che quando in certi Paesi l’obiettivo della Riabilitazione è la partecipazione della persona disabile ad una vita normale, ivi compresa l’attività sportiva,da noi , ovvero in Italia ma non solo qui, si pratica ancora la medioevale usanza della prestazione nei termini di 10 o multipli di essa.Si rende cioè il disabile schiavo di molte esigenze del servizio sanitario anzichè proporgli la giusta e doverosa libertà sociale andando a conoscerne i bisogni e cercando di risolverli a 360 gradi..Ci si chiude nella numerologia prestazionale ,sicuramente piu’ controllabile, anzichè aprirsi all’inserimento sociale ed operativo della persona disabile ivi comprese le attività sportive intese come vera e propria terapia e questo non solo riguardo al recupero della motilità (un paraplegico non riacquisterà mai la sua precedente motilità) ma soprattutto riguardo la partecipatività attiva alla vita sociale ( un paraplegico è perfettamente recuperato se partecipa alla vita sociale indipendenemente dal fatto che usi o no le sue gambe: concetto dell’outcome e dell’agire per processi ed esiti misurati sul risultato ). Ed allora sovviene che, forse,nel nostro passato abbiamo perso un pò di tempo e risorse nel cercare quasi soltanto un movimento che non verrà mai e tralasciando di fare cultura riabilitativa e sociale nonchè una ricerca della partecipazione che, se ci si impegna tutti con un obiettivo comune,probabilmente ci darà maggiori risultati non solo alla paralimpiadi ma quotidianamente nella vita di ogni giorno delle persone disabili e ,forse,agevolerà non poco il nostro lavoro. Qualcosa da qualche parte è stato fatto come ad esempio i percorsi di cura nel concetto dell’High-Low care e territorio e nella buona prassi delle terapie occupazionali e dei servizi ausili per l’autonomia come nella realtà forlivese,in Umbria,nel Reggiano , in Veneto, in Toscana e probabilmente in qualche altra sede ,ma sono spot e non cultura riabilitativa e sociale di fondo. Sicuramente andrebbe fatto di più, di certo non solo dal CIP o dalle associazioni territoriali che hanno molta buona volontà ma poco potere , ma dal Governo e dalle Regioni in un quadro di sostegno economico-finanziario al reinserimento lavorativo del soggetto disabile e alla pratica sportiva … Sfugge ai nostri governanti che il disabile che lavora e fa sport è una risorsa attiva per il Paese, si mantiene e contribuisce al PIL invece di prendere pensioni e indennità di accompagnamento … Inoltre ,e questo è testimoniato da molti atleti paralimpici, la pratica sportiva aiuta il disabile ad acquisire una consapevolezza dei propri mezzi che gli consentono di dare il proprio contributo nella società…. E’ una questione di approccio e di cultura e in questo l’Italia è ancora un pò indietro.Ma ,oltre al governo centrale , ai suoi ministri ed alle Regioni , occorre che la gestione territoriale della disabilità, ma anche quella della fase acuta, prenda vieppiu’ fortemente coscienza sia delle nuove tecnologie e non ne osteggi con la scusa del bilancio la diffusione ed inserisca a pieno titolo lo sport (cosi come, in altro segmento di disabilità, l’attività fisica generica ed adattata ) tra le prescizioni ed i consigli che il SSN, che è ciò che fa cultura, deve fare.
Bene signori miei,non è mai troppo tardi,rimbocchiamoci le maniche e recuperiamo il tempo perduto aggiungendo qualche medaglia al nostro “score” e soprattutto rendendo libere dalla schiavitu’ sanitaria persone che meritano una maggiore possibilità di inserimento nel contesto sociale,creiamo città inclusive e non esclusive (ovvero che escludono), creiamo percorsi di cura che rispondano innanzitutto ai bisogni ed ai desideri delle persone disabili (disabili per qualsiasi motivo e quindi non solo fisico/motorio) e non correlati solo alle esigenze di risparmio,ma dando segnali importanti che coniughino appropriatezza e bisogni.Ecco , avendo come idea di fondo l’ICF, il diffondere il concetto di partecipazione del disabile dovrebbe essere comunque il file rouge del nostro lavoro di Riabilitatori. Non so se sia o no difficile e se mai ci riusciremo ,ma ,mi sembra,che la cultura generale e l’etica debbano andare verso valori di accoglienza e di ascolto, di aiuto e di presa in carico e non di posizionamento “esterno” rispetto alla vita delle persone disabili che incontriamo quotidianamente nel nostro lavoro di Riabilitazione, i percorsi di presa in carico e l’attenzione ai bisogni (ed ai sogni) dei disabili ,e allargo il concetto di disabilità a chiunque ha limitazione della partecipatività, non sono spreco ma probabilmente recupero di denaro pubblico e privato.Una giusta miscela tra la NBM e la EBM… Proviamo a crederci ed a portarlo nei fatti del nostro operare quotidiano. Buon lavoro a tutti.