Paragrafo quaderno Pace sul Dolore in Riabilitazione
Dott. Germano Pestelli
medico specialista in riabilitazione – Forli
La cronicità è una situazione molto complessa da gestire e va ad insistere quasi esclusivamente sulla attività territoriale essendo al giorno d’oggi sempre più rari i ricoveri ospedalieri per patologie croniche se non limitatamente alla pura riacutizzazione o per patologie di tipo oncologico in fase terminale o per valutazione del percorso.
I cittadini sono tutti territoriali e diventano ospedalizzati solo in casi particolari e per tempi piuttosto brevi in genere e, comunque, le stesse lungodegenze post acuzie sono giustamente per lo più inserite in percorsi territoriali che non ospedalieri. Questo significa che l’organizzazione della gestione del dolore è prevalentemente a carico del territorio. Se poi al dolore fisico, puramente inteso, aggiungiamo tutti i disagi che una malattia cronica o una disabilità di medio alta gravità comporta si comprende ancora di piu’ come il vero centro organizzativo della gestione del “dolore” debba essere l’attività territoriale.
Nelle pagine precedenti avete letto come il dolore inteso nel suo senso di dolore fisico viene trattato sia dal punto di vista farmacologico che fisioterapico. In questo paragrafo non si parlerà di dolore fisico ma di come la gestione dei percorsi delle patologie croniche o cronicizzanti e le relative disabilità debbano, o siano,prese in carico per determinare una qualità della vita che sia consona alle aspettative ed ai desideri della persona malata e della famiglia di appartenenza.
Il problema della medicina moderna in tempi di crisi è si nella riduzione delle spese a livello di letti ospedalieri ed affini, ma la sfida piu’ difficile è quella di saper dare alle persone malate o disabili un percorso di presa in carico territoriale che ne permetta la gestione fuori dagli ospedali il più a lungo possibile e che contestualmente vada a coniugare i concetti di economia del sistema a quelli del risultati di efficacia ed efficienza e di soddisfazione dell’utenza.
Non è impresa facile ed occorre avere una buona conoscenza non solo della patologia/disabilità/difficoltà ma anche delle articolazioni operative dei sistemi territoriali che non sempre sono pronti ad accogliere cittadini complessi e che debbano giocoforza avere una lunga gestione nel tempo, spesso affetti da patologie incurabili o ingravescenti che ne limitano le abilità motorie e la partecipazione ad una qualità di vita desiderata ed inoltre gravano sensibilmente sulla socialità della famiglia.
In una famiglia moderna in tempi di crisi avere una persona affetta da patologia cronica con sintomatologia algica frequente, e con eventuale disabilità associata, diventa un serio problema. Proprio per questo occorrerebbe uscire dal circolo persona malata-medico medicina generale-ospedale per allargare la presa in carico ad altre strutture del territorio che non siano solo il MMG e la struttura pubblica.
Andando a valutare alcune organizzazione straniere di paesi sanitariamente evoluti tipo Australia e Canada si vede come il ruolo delle associazioni e del volontariato è assolutamente basilare ed insostituibile a livello della gestione territoriale di dolori cronici o di anziani con limitazione dovuta a dolore. Ma anche andando in Paesi a basse risorse economiche come ad esempio la Moldova si vede come anche lì la gestione del dolore seppur meno gestita dalle associazioni, di fatto inesistenti, sia comunque delineata da un interessamento reale del territorio attraverso la capillarizzazione delle case della salute, dove le persone affette da dolore acuto o cronico possono rivolgersi prima di essere avviati a centri ospedalieri.
In pratica la funzione di filtro che in Australia e Canada viene fatta dalle associazioni specifiche in Moldova viene fatta nei villaggi dall’infermiere di villaggio disponibile giorno e notte telefonicamente in prima battuta e dal medico di medicina generale in seconda battuta e solo allora e qualora questi professionisti non riescano a risolvere il problema la persona viene avviata presso un centro ospedaliero. Questa organizzazione, banalmente, riduce gli accessi al Pronto Soccorso a 10-12 al giorno su un territorio di circa 100 mila abitanti.
IN Australia esiste una associazione che da conforto alle persone affette da dolore cronico attraverso un call center sempre disponibile e a specialisti del settore specifico ma anche psicologi ed assistenti sociali. Infatti la persona con dolore cronico,come già avete letto nelle pagine precedenti, non necessità solo della pura e semplice prestazione ma di un sistema di accoglienza che ne valuti anche gli aspetti sociali e psicologici che sono di importanza basilare nella gestione temporale della persona e della famiglia che se ne fa carico.
Anche negli Stati Uniti ,pur nella grande diversità di gestioni, il concetto di presa in carico del dolore territoriale è gestito dalle associazioni del settore che in questo paese sono molteplici e “multicolori” ma che comunque danno una apporto positivo ed efficace ai bisogni delle persone.
Il file rouge comune dell’attività territoriale è comunque quello di cooptare nei percorsi le associazioni del volontariato o del privato sociale nei Paesi piu’ evoluti e di organizzare al meglio le attività istituzionali e le risorse esistenti nei Paesi a basse risorse.
In Italia a fronte di una discreta attività specifica ospedaliera o comunque presso strutture sanitarie anche se molto ancora a macchia di leopardo, l’attività territoriale nel settore è poco praticata come percorsi codificati e sviluppata piu’ che altro presso i nuclei di cure primarie laddove questi esistono o, in modo personalistico e spesso autoreferenziale,nei singoli ambulatori.
Qualcosa comunque è presente in alcune regioni e ASL come ad esempio nel Veneto nella ASL di Dolo Mirano dove esiste un percorso condiviso di gestione delle patologie croniche che causano dolore. Poi si hanno qua e la notizie di interessamenti di centri algologici ospedaliero-territoriali, intesi presenti in strutture ma anche con attività ambulatoriale che, de facto,è attività per persone esterne.
Il problema quindi di come organizzare il Sistema dolore in Italia esiste eccome. Non si dovrebbe infatti lasciare all’autoreferenzialismo o alla iniziativa personale, pur sempre lodevole , una cosi importante fetta del welfare.
Il dolore, fisico e non,muove anche grandi interessi economici che a volte portano positività ma a volte sono freno ad uno sviluppo equo dei percorsi di cura, in quanto tendono a dare informative non sempre consone ai bisogni delle persone ma orientate a interessi specifici.
Vediamo ora nel dettaglio quali sono le proposte piu’ interessanti in Italia sulla gestione dei percorsi territoriali in favore di persone affette da dolori cronici o cronicizzanti , ma anche,successivamente,quale potrebbe essere una visione organizzativa piu’ ampia e comprensiva della globalità della persone introducendo l’idea che il dolore va inteso anche come difficoltà alla partecipazione ad una vita sociale soddisfacente.Quindi non solo come sintomatologia dolorosa di tipo fisico ma come problema di difficoltà globale ad uno svolgimento dei propri desideri.
In pratica la gestione del dolore sul territorio deve essere una cooperazione tra professionisti della sanità che abbiano l’obiettivo comune del miglioramento della qualità di vita del paziente attraverso la presa in carico che parta dalla conoscenza delle problematiche cliniche,riabilitative,assistenziali e sociali della persona affetta da sindrome dolorosa e della sua famiglia.
A tal proposito è opportuno presentare alcuni passi della legge 38/2010
Legge 15 marzo 2010, n. 38
“Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010
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Art. 1.
(Finalità).
1. La presente legge tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore.
2. È tutelato e garantito, in particolare, l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, come definito dall’articolo 2, comma 1, lettera c), nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell’8 febbraio 2002, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.
3. Per i fini di cui ai commi 1 e 2, le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore assicurano un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei seguenti princìpi fondamentali:
a) tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione;
b) tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine;
c) adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia.
Art. 2.
(Definizioni).
1. Ai fini della presente legge si intende per:
a) «cure palliative»: l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici;
b) «terapia del dolore»: l’insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore;
c) «malato»: la persona affetta da una patologia ad andamento cronico ed evolutivo, per la quale non esistono terapie o, se esse esistono, sono inadeguate o sono risultate inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia o di un prolungamento significativo della vita, nonché la persona affetta da una patologia dolorosa cronica da moderata a severa;
d) «reti»: la rete nazionale per le cure palliative e la rete nazionale per la terapia del dolore, volte a garantire la continuità assistenziale del malato dalla struttura ospedaliera al suo domicilio e costituite dall’insieme delle strutture sanitarie, ospedaliere e territoriali, e assistenziali, delle figure professionali e degli interventi diagnostici e terapeutici disponibili nelle regioni e nelle province autonome, dedicati all’erogazione delle cure palliative, al controllo del dolore in tutte le fasi della malattia, con particolare riferimento alle fasi avanzate e terminali della stessa, e al supporto dei malati e dei loro familiari;
e) «assistenza residenziale»: l’insieme degli interventi sanitari, socio-sanitari e assistenziali nelle cure palliative erogati ininterrottamente da équipe multidisciplinari presso una struttura, denominata «hospice»;
f) «assistenza domiciliare»: l’insieme degli interventi sanitari, socio-sanitari e assistenziali che garantiscono l’erogazione di cure palliative e di terapia del dolore al domicilio della persona malata, per ciò che riguarda sia gli interventi di base, coordinati dal medico di medicina generale, sia quelli delle équipe specialistiche di cure palliative, di cui il medico di medicina generale è in ogni caso parte integrante, garantendo una continuità assistenziale ininterrotta;
g) «day hospice»: l’articolazione organizzativa degli hospice che eroga prestazioni diagnostico-terapeutiche e assistenziali a ciclo diurno non eseguibili a domicilio;
h) «assistenza specialistica di terapia del dolore»: l’insieme degli interventi sanitari e assistenziali di terapia del dolore erogati in regime ambulatoriale, di day hospital e di ricovero ordinario e sul territorio da équipe specialistiche.
GRAZIE ALLA LEGGE 38, I MALATI E LE LORO FAMIGLIE HANNO DIRITTO:
● ad una adeguata informazione sulla malattia in atto e sulla scelta dei trattamenti possibili, in linea con i loro desideri
● a risposte personalizzate ai bisogni, non solo sanitari, da parte di una equipe di professionisti esperti e dedicati
● al controllo del dolore attraverso misurazione costante e trattamenti adeguati
● al controllo degli altri sintomi fisici che provocano sofferenza al malato
● alla rilevazione e cura della sofferenza psicologica
● al sostegno sociale e spirituale
● a programmi di supporto al lutto per i familiari
Tali diritti devono essere garantiti su tutto il territorio italiano essendo, le Cure Palliative, un Livello Essenziale di Assistenza (LEA)
PERCHÉ QUESTA LEGGE È COSÌ IMPORTANTE
Si tratta di una legge fortemente innovativa che, per la prima volta, riconosce il valore di diritto al rifiuto della sofferenza inutile e garantisce l’accesso alle Cure Palliative e alla Terapia del dolore.
Le Cure Palliative possono essere erogate da Strutture sia pubbliche sia private, come Organizzazioni non Profit, purchè possiedano i requisiti stabiliti dalla legge.
In tutte le strutture sanitarie vi è l’obbligo della rilevazione e del trattamento del dolore. Il trattamento non è più lasciato solo alla sensibilità degli operatori sanitari. I malati ricoverati hanno diritto alla valutazione del dolore e alla sua registrazione nella cartella clinica, unitamente al trattamento farmacologico fornito e al risultato ottenuto.
Gli Hospice e le Unità di Cure Palliative Domiciliari assicurano un programma di assistenza individuale personalizzato per ogni malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei seguenti princìpi:
a. tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione;
b. tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine;
c. adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della sua famiglia.
COME SI ACCEDE ALLA RETE LOCALE ?
La modalità di accesso varia da regione a regione, ma ovunque ci si può rivolgere a: ● Medico di Medicina Generale (Medico di famiglia) ● Medici specialisti ospedalieri ● ASL di riferimento ● Associazioni di Volontariato
L’ACCESSO ALLE CURE PALLIATIVE,ivi compreso anche il trattamento del dolore cronico, IN ALCUNI CASI E IN ALCUNE ZONE PUÒ ESSERE DIFFICOLTOSO Per questo numerose Organizzazioni Non Profit (ONP), anche attraverso l’attività dei volontari, supportano le famiglie e il malato per agevolare l’accesso alle cure.
QUAL È IL RUOLO DEL VOLONTARIO ? Il volontariato in Cure Palliative offre al malato e ai familiari una relazione di aiuto gratuita, caratterizzata da attenzione, ascolto e condivisione. Il volontario ha un ruolo insostituibile che comporta una attenta formazione e il rispetto di uno specifico codice deontologico.In Italia attualmente operano circa 70 ONP.
Importante nella legge 38 ,tra l’altro,l’accenno alla rete territoriale ed alla ricerca della continuità assistenziale.
Non è facile in Italia trovare documenti ufficiali che prendano in seria considerazione le attività territoriali. La nostra sanità infatti risente pesantemente della centricità della struttura ospedaliera attorno alla quale ruota tutto il sistema , in realtà sarebbe molto meno dispendioso e probabilmente anche piu’ efficace se il sistema ruotasse maggiormente attorno alle attività territoriali di prevenzione cura e presa in carico e si rivolgesse all’ospedale solo in caso di reale necessità. La gestione del dolore infatti può tranquillamente essere fatta a domicilio, ovvero sul territorio, senza privare la persona malata e la sua famiglia di nulla.
Due società scientifiche italiane hanno provato a proporre documenti sull’attività territoriale : la SICP,società italiana di cure palliative e la SIMFER società italiana di medicina fisica e riabilitativa. Con due documenti ufficiali abbastanza simili perché partono da un dato comune ovvero i bisogni della persona ed hanno un obiettivo comune ovvero il miglioramento della qualità della vita. Ma soprattutto introducono finalmente il concetto di rete come elemento prospettico insostituibile per creare buone prassi nel territorio..
Vediamo nel dettaglio ma in modo sintetico le peculiarità dei due documenti.
La SICP parte dalle necessità di alcune grandi patologie che causano gravi disabilità , come detto dianzi in queste pagine abbiamo voluto dare al dolore un significato piu’ ampio di quello di dolore fisico e quindi pensiamo che tutte le sofferenze , non solo fisiche ma anche psicologiche di gestione di partecipazione ad una vità sociale gratificante , possano essere parametrate ad una situazione di dolore , per questo i percorsi di presa in carico di persone con difficoltà motorie e di partecipazione significative possono entrare a far parte di questa discussione.
Il concetto è quello di rete e di lavoro in team dove ciascun professionista della sanità e del welfare partecipa per le sue specifiche competenze al percorso di presa in carico e dell’allevio delle sofferenze della persona disabile e della sua famiglia . Per fare questo occorre definire una rete territoriale forte e motivata che vada a conoscere , attraverso i suoi professionisti , i bisogni globali della persona disabile per motivi legati al dolore o ad altro.
Le rete deve “risiedere” nel territorio ma avere contatti con la funzione ospedaliera per creare percorsi pianificati e facilitati per le persone disabili . Del team fanno parte molti professionisti sanitari medici e non che vengono attivati al momento della necessità . In campo riabilitativo oltre al medico specialista in riabilitazione che è responsabile del progetto riabilitativo sono attivi il fisioterapista ed il terapista occupazionale.
In questo settore c’è un efficace modello in Andalusia dove si è creata una rete territoriale che ,facendo capo ai medici di medicina generale ,ha infermieri case manager responsabili dei singoli casi che sono pressochè costantemente in contatto con le famiglie dei malati o coi malati stessi in modo tale da poter intervenire tempestivamente in caso di bisogno.
In pratica l’infermiere, esattamente come in Moldova, fa da filtro ai bisogni del malato e lo avvia al percorso piu’ rapido ed efficace . La città di Siviglia ,ad esempio, è divisa in territori di pertinenza di singoli professionisti sanitari non medici che telefonicamente possono essere raggiunti 24 ore su 24 dalle persone che hanno necessità sanitarie e che sono inserite in specifici percorsi di cura .Il professionista poi innesca il percorso personalizzato e migliore per la persona . Lo fa lui senza impegnare i caregivers in percorsi ad ostacoli o a lunghe attese tramite i CUP.
Ritornando specificamente alla riabilitazione ,prima di passare a descrivere la proposta SIMFER per l’attività territoriale,mi preme sottolineare come una persona con limitazione della partecipazione da patologia cronica causante dolore (teniamo sempre presenti,anche se non sempre citati,i parametri ICF),abbia assoluta necessità di presa in carico riabilitativa .Si badi bene “presa in carico” e non gestione prestazionale a cicli di 10 sedute che non solo lasciano il tempo che trovano ma probabilmente sono di nessuna utilità pratica e producono spreco di denaro pubblico e personale. Ogni cittadino che vive sul territorio ed ha avuto un contatto per problemi di dolore,ma anche di riabilitazione e partecipazione , con la struttura pubblica dovrebbe essere seguito in un percorso territoriale pianificato e temporale o continuo in base alla sua patologia/disabilità . Chi poi debba fare questa attività territoriale e chi la debba governare lo vedremo in seguito . Ma che debba essere fatta non ci sono dubbi ,in quanto oltre a procurare guadagno in salute e partecipazione, renderebbe meno frequenti le richieste di prestazioni sanitarie di frustrazione e quindi ,alla fine, si tradurrebbe in un risparmio di spesa pubblica.
E veniamo alla proposta SIMFER per il territorio,che chiamerei non piu’ “Territorio senza dolore” ma ,amplificando il concetto “Territorio al servizio del disabile con limitazioni alla partecipazione ad una qualità di vita soddisfacente” e che quindi ricomprende senza dubbio le persone affette da dolori cronici e cronicizzanti di interesse fisiatrico.
E’ datato 16 ottobre 2011 il “Documento Simfer sul territorio”.
Secondo la SIMFER l’ ambito territoriale diventa il luogo privilegiato per l’intervento sulle componenti ambientali e sui fattori personali ( ICF). Infatti a completamento dei progetti riabilitativi individuali bisogna proseguire l’intervento finalizzato alla realizzazione dell’integrazione e dell’inclusione sociale. La logica in cui bisogna muoversi è una “logica di risposta sistemica ed unitaria alla complessità “ ovvero è il sistema sanitario che si prende in carico del sistema persona disabile. La presa in carico riabilitativa deve essere inserita all’interno di un percorso assistenziale integrato di continuità delle cure, deve basarsi sulla valutazione multidimensionale sanitaria e sociale centrata sulla persona e non sulla patologia ed avendo il progetto riabilitativo individuale come base per il percorso specifico . Deve avere come riferimento il modello Bio-psico-sociale dell ‘ICF, che analizza la complessità delle condizioni di salute della persona disegnandone il profilo di “ funzione”, il livello di “attività/partecipazione” descrivendo i fattori contestuali ambientali e classificandoli come “facilitatori o barriere/ostacoli” e ricercando e valorizzando i “fattori personali” propri dell’individualità.
In pratica il processo riabilitativo ha come obiettivo, attraverso il recupero funzionale migliore possibile, il miglioramento della qualità della vita della persona disabile e la sua integrazione sociale ,lavorativa, sportiva …..
La disabilità non è solo fisica ma anche determinata da fattori ambientali, psicologici e sociali ed è valutando attentamente anche questi , in modo quindi globale, che si puo’ costruire un percorso territoriale valido per qualsiasi persona e per la sua famiglia, ma anche per il sistema sanitario che , pianificando le dimissioni verso il territorio in modo consono ai bisogni dei disabili o comunque delle persone con complessità e dando risposte complete ed esaustive , vedrà gli stessi ricorrere di meno a nuove prestazioni sanitarie .
E’ la persona disabile al centro di un sistema con i professionisti che ,al momento opportuno e per la loro specifica competenza o funzione,si prendono cura dei suoi problemi cercando di darvi una risposta efficace,efficiente e misurabile con l’out come.
Le ovvie problematiche finanziarie per garantire la sostenibilità e completezza dell’offerta rimandano prima di tutto alla selezione del bisogno reale sia nelle fasi di acuzie della domanda che in quelle molto spesso molto prolungate delle condizioni appunto di cronicità e di esiti. Appare quindi sempre più evidente che un parametro per declinare la appropriatezza per l’utilizzo delle risorse , come pure per la qualità e completezza ed efficacia degli interventi ( e degli investimenti ) sia correlare il tutto ad un dato territorio ed una data popolazione da servire. L’utilizzo delle risorse nella Riabilitazione non deve esser più affidato ad una logica “prestazionale” (come ancora purtroppo nelle attività ambulatoriali e territoriali, ma anche in quelle ospedaliere) nè a una logica solo “assistenziale” (o caritatevole). Deve invece finalmente prevalere una governance fondata su programmi di interventi organici, basati su elementi epidemiologici, scientifici ma anche storici , con finalità anche preventive rispetto alla popolazione/territorio di competenza e rispetto alla risorse disponibili.
Si pone quindi il problema prioritario della appropriatezza della presa in cura riabilitativa e degli interventi valutativi e terapeutici correlati, cioè del giustificato accesso ad un determinato livello di assistenza ed all’efficace utilizzo delle risorse impiegate.
Uno degli aspetti più delicati riguarda la continuità terapeutica che impone una valutazione di questa necessità ( a volte richiesta impropriamente ) e che vede coinvolte tutte le articolazioni organizzative deputate al processo riabilitativo ed al reinserimento della persona.
La rete è sovraintesa dai case manager e dai care manager che si avvalgono di volta in volta del professionista di riferimento per la disabilità della persona. Il Case Manager,responsabile del caso , che dovrebbe essere un infermiere o un fisioterapista ,è colui che ha in mano la gestione reale del percorso essendo la persona a cui la famiglia fa riferimento immediato.
La Rete dei professionisti per la disabilità e la partecipazione quindi è da definire e programmare per la presa in carico delle persone disabili e a rischio di partecipazione e della loro famiglia .
Nella rete occorre individuare care manager e case manager affinché vi sia una continuità terapeutica nei bisogni della disabilità per favorire la partecipazione della persona alla vita sociale.
Per ottenere un buon risultato occorre superare nel tempo il concetto della valutazione (quindi superare le U.V.aggettivate) per passare a quello di una rete di professionisti che definisca compiutamente la presa in carico della disabilità conoscendo le problematiche globali del disabile e/o della persona complessa e della sua famiglia . La valutazione di per sé ,purtroppo, è qualcosa di numerico che non sempre rende la realtà dei bisogni.
Infatti solo attivando una rete di professionisti preparati e integrati si possono conoscere i reali bisogni del “sistema persona disabile o complessa “ ed in questo settore si suggerisce di inserire anche i concetti della Medicina Narrativa ovvero i concetti di ascolto: “parlare non al malato ma col malato “,infatti solo conoscendo compiutamente i bisogni delle persone,quindi ascoltandole, ci si potrà avviare alla loro effettiva risoluzione.
La Rete professionale della disabilità definirà un PROGETTO sulla persona (PRI) basato sulla valutazione clinico-assistenziale-riabilitativa-sociale che tenga conto in maniera globale dei:
a) bisogni della persona (e/o dei suoi familiari);
b) menomazioni e disabilità
c) abilità residue e recuperabili;
d) fattori ambientali, contestuali e personali.
Della rete fanno parte,ciascuno per le proprie specifiche competenze, i professionisti che si interfacciano coi problemi legati alla partecipazione delle persone , per disabilità non si intende ovviamente solo quella motoria ma tutto ciò che limita,per qualsiasi motivo, la partecipatività di una persona alle attività che sono consone alle sue aspettative di qualità della vita. Il governo clinico della partecipazione legata a quanto declinato dall’ICF deve essere garantito dall’area riabilitativa.
In questo percorso poi occorre inserire alcune figure o attività pressoché sconosciute al momento e comunque poco praticate come i disability manager figure territoriali che potrebbero fare da collante tra famiglie associazioni ed enti per integrare al meglio i percorsi di presa in carico e legarli alle necessità.L’ attività fisica adattata (A.F.A.) che può essere specificamente indicata nelle persone affette da sindromi algiche dell’apparto locomotore sia come gestione del mantenimento che come prevenzione.La Riabilitazione comunitaria (CBR) vera e propria scommessa della Riabilitazione mondiale sul futuro della presa in carico territoriale di cittadini necessitanti di gestione riabilitatitiva e che ,per vari ordini di motivi economici sociali etc..,non riescano ad accedere ai luoghi tradizionali di cura. La Riabilitazione comunitaria, che ho il piacere di gestire in varie parti del mondo,Albania,Moldova,Guatemala,Ghana ma anche un progetto sperimentale in Italia nel Comune di Bertinoro (FC) , è un modo molto semplice ed efficace di affrontare le necessità di riabilitazione medica e sociale delle persone disabili territoriali.E’ a costo zero per il SSN , eccettuata l’eventuale formazione, e porta riabilitazione e accoglienza laddove il SSN non riesce ormai piu’ ad arrivare.E’ gestita dal volontariato ,ma dovrebbe essere fatta in cooperazione con le strutture pubbliche preposte alla gestione dei percorsi riabilitativi.
Per averne maggiori informazioni sulla CBR si può consultare il sito internet www.simferweb.net/blog.
Germano Pestelli
Medico specialista in Riabilitazione
Già Direttore Dipartimento Post Acuzie e Riabilitazione ASL Forli
Membro Comitato WHO per gli aiuti di riabilitazione nei disastri naturali e membro del gruppo WHO per lo sviluppo della Riabilitazione basata sulla Comunità.
Vice Presidente SIMFER con delega alla cooperazione.